Diamanti: una sentenza che fa chiarezza dopo oltre 10 anni

Una sentenza significativa arriva dal Tribunale di Verona nel noto caso dei diamanti da investimento venduti attraverso gli sportelli bancari di Banca BPM e banca Aletti

 Il giudice ha condannato Banca Aletti a risarcire un socio di Adiconsum Verona per 123.000 euro, oltre rivalutazione e interessi, per l’acquisto di diamanti effettuato oltre dieci anni fa, nel 2004 e nel 2007.

Il cliente, all’epoca, aveva acquistato le pietre preziose su sollecitazione diretta della banca, che presentava l’operazione come una forma sicura e redditizia di investimento. Nonostante l’intervento tempestivo di Adiconsum, la banca si era rifiutata di proporre una transazione, sostenendo che, essendo trascorsi più di dieci anni, il diritto si fosse prescritto.

Il ricorso in Tribunale, portato avanti con l’assistenza di legali, ha però ribaltato la situazione: il giudice ha rigettato leccezione di prescrizione, chiarendo che il termine decennale non decorre dalla data dellacquisto, ma dal momento in cui il danno è divenuto evidente, ovvero quando il cliente ha scoperto la reale sproporzione tra il valore effettivo dei diamanti e il prezzo pagato.

La sentenza ha riconosciuto come determinante il comportamento della banca, che ha violato i propri obblighi informativi e protettivi, generando nell’investitore un legittimo affidamento sulla bontà dell’operazione.

“La decisione del Tribunale è un precedente importante – commenta l’associazione – perché riconosce che non può esserci prescrizione quando il danno emerge solo successivamente. Si conferma, ancora una volta, il ruolo fondamentale delle associazioni dei consumatori nel garantire giustizia anche nei casi più complessi e apparentemente chiusi.”

Caso diamanti

I fatti si riferiscono al periodo 2012-2016 quando le società IDB (Intermarket Diamond Business di Milano, fallita) e DPI (Diamond Private Investment di Roma ) avevano iniziato un’attività di vendita di diamanti attraverso alcune banche (Banco Bpm, Banca Aletti, UniCredit, Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi). L'investimento era presentato come protetto da oscillazioni di mercato e speculazioni. Le banche avrebbero dovuto solo mettera a disposizione il materiale fornito dalle due società ma, in sostanza, non era così perhé gli addetti si adoperavano per proporre l'investimento "sicuro" ai consumatori con un rendimento costante annuo del 3-4% del capitale. Venivano pubblicate le quotazioni di mercato che però non erano che un listino prezzi (più alti ispetto ai valori reali), listino che in maniera subdola compariva, a pagamento, tra le pagine dei titoli di Borsa. Il reale valore non superava il 50% di quanto pagato ma non era tutto perché al malcapitato venivano addebitate anche tutta una serie di costi (commissioni banca, coperture assicurative, certificazione etica e gemmologica) senza dimenticare la percentuale per la rivendita. Ovviamente tutto questo si scopriva solo al momento di disinvestire. 

Poi nel 2016 il caso scoppia, gli investitori si precipitano in banca a vendere i diamanti ma le società, travolte dal volume di operazioni non sono in grado di far fronte e il meccanismo crolla, lasciando migliaia di consumatori con investimenti in forte perdita.